Perchè la Musica

“In un coro ogni persona è sempre concentrata sulla relazione della propria voce con le altre. L’ascolto dell’altro è quindi alla base del canto corale e in generale del fare musica insieme. Imparare a cantare insieme significa imparare ad ascoltarsi l’un l’altro. Il coro quindi, come l’orchestra, è espressione più valida di ciò che sta alla base della società: la conoscenza e il rispetto del prossimo, attraverso l’ascolto reciproco e la generosità di mettere le proprie risorse migliori al servizio degli altri”. Claudio Abbado

Escono in fila indiana, fedelmente accomunati dalla maglietta del Coro Papageno che li contraddistingue. Il passo non è incerto ma curioso, nasconde il desiderio di dimostrare qualcosa: a se stessi, certamente, ma anche a chi li starà ad ascoltare. Massimo Ziccone, il responsabile dell’area educativa del carcere della Dozza, racconta che il concerto interno, riservato ad un pubblico di soli detenuti, “è quasi più importante di quello pubblico, per i coristi”. Idea condivisa anche dal Maestro del Coro Michele Napolitano.

Un piccolo sforzo aiuta a capire. Provateli a pensare, questi detenuti, nelle loro celle, intenti a spiegare ai propri compagni di sorte perché si impegnano tanto a cantare in un coro. Quanto tempo impiegheranno per fare capire il valore degli esercizi vocali, delle prove costanti, del corso di alfabetizzazione musicale. “Che senso ha un coro in un carcere?” gli chiederà qualche compagno di cella. “Cosa te ne fai?”, e magari qualche ragazza al femminile aggiungerà: “non preferiresti trovare un lavoro e mettere da parte qualche cosa per la tua famiglia?”. Sono domande che possono toccare qualsiasi scettico che senta parlare di questa attività all’esterno: va bene un po’ di cultura, magari qualche libro regalato al carcere. Ma la musica è un’altra cosa. Come si fa a pensare di poter fare musica – e di farla bene – in un luogo come il carcere?

Dovete fidarvi dei nostri occhi, come noi ci fidiamo degli occhi dei detenuti che assistono ai "concerti interni". Guardando cantare i loro compagni l'ironia si trasforma in stupore, lo stupore in curiosità, la curiosità in meraviglia, la meraviglia in desiderio. Un’ora di canto strappa tutti da qualsiasi pensiero e da qualsiasi reato: ognuno dei partecipanti sa che in questo momento si trova ovunque la sua mente lo possa trasportare. La gioia entra prepotentemente nel cuore di ognuno, regalando un pizzico di pace.

Ogni volta che non è chiaro perché portiamo la musica in un carcere, o perché esista il Coro Papageno, pensate che alla fine del concerto i coristi sono trionfanti, orgogliosi, felici. E si crea una piccola fila di sbalorditi che inizia a chiedere informazioni: “vorrei partecipare anch'io, cosa devo fare?".

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